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Alimentazione nell'antica Roma
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bimby

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italy
MessaggioInviato: 02 Nov 2012 23:56:44    Oggetto:  Alimentazione nell'antica Roma
Descrizione:
Rispondi citando

Alimentazione nell'antica Roma

All’inizio della loro storia iromani furono dei grandi mangiatori di polenta: polenta di farro e di orzo, non di granoturco che non conoscevano.
Il grano tenero lo conobbero solo a partire dal V secolo a.C. Il riso lo conobbero molto tardi, ma non lo mangiarono mai.
Il pappone a base di cereali, chiamato puls, rimase a lungo la base della dieta.
Il pane divenne un alimento abituale solo a partire dal II secolo d.C.

Cereali superiori
Grani superiori o nudi:
Triticum/frumentum, solo a partire dal V secolo a.C. e comunque poco diffuso fino
alla tarda età repubblicana. Nome scientifico: triticum monococcum, durum, turgidum

Siligo o siligine (gr. sitanìas) è un altro grano nudo, tenero, da pane (triticum
vulgare) coltivato in Campania, Etruria, Gallia.

Plin. N.h. 86-88: ottimo pane e ottimi anche i prodotti fatti con la pasta. Meglio se la
siligine rossa della Campania è mescolata a quella bianca di Pisa…Il grano di
Chiusi e quello di Arezzo rendono di più.

La siligo, naturalmente, non ha niente a che vedere con la segale, diffusa solo
nell’alto Medioevo dall’Europa del nord. Nel I d.C. il consumo della segale è
circoscritto all’area subalpina.

La segale vera e propria è molto disprezzata da Plinio (n.h. XVIII, 141): buona
soltanto a tenere lontana la fame. Vi si mescola il farro per mitigarne il sapore
amaro. Però nasce su qualsiasi tipo di terreno, rende il cento per uno e fa essa
stessa da concime.


Il farro
Grani inferiori o vestiti: farro, detto far, ador, adoreum. Nome scientifico: triticum dicoccum

Fonti
Plin. n.h. XVIII: confarreatio
n.h. XVIII, 7-8: Numa stabilì di onorare gli dei con offerte di cereali, in particolare di mola salsa, farina di grano tostato e salato.

n.h.XVIII, 62: il farro fu per 300 anni l’unico cereale in uso presso i Romani. Riprende Verrio Flacco, prima età imperiale

Bibliografia
A. Marcone, Storia dell’agricoltura romana, Roma 1997

Festo, 124 L.: molam etiam vocatur far tostum et sale sparsum
quod eo molito hostiae aspergantur

La nota è preziosa perché spiega come il farro dovesse essere abbrustolito e torrefatto per potere eliminare le glumi che avvolgevano le cariossidi ed essere quindi consumato. Lo
stesso Numa istituì anche i Fornacalia, feste della torrefazione del farro che si svolgevano in febbraio

Ovidio, Fasti II, 519-520: gli antichi seminavano e mietevano il farro e il primo farro che si coglieva era offerta a Cerere.

Servio, ad Ecl. VIII, 82: il farro veniva macinato dopo essere stato abbrustolito e battuto
La farina di farro non sembra utilizzata tanto per la panificazione quanto per la preparazione della mola salsa e della puls, per secoli piatto tipico dei Romani.

Ethnos e cereali
I Greci dei Romani: mangiatori di Puls (Plauto, Mostellaria 828 e Poenulus, 54)

I Romani dei Greci: mangiatori d’orzo (Plinio)

La puls, nella sua forma più semplice, è un piatto liquido o semiliquido, una via di mezzo fra una pappa e una farinata, vera antesignana della nostra polenta.

Plin. N.h. XVIII, 83-84: il farro fu il più antico cibo del Lazio e ne abbiamo la prova nel rito dell’offerta di adoria. E’ noto che per lungo tempo i Romani si cibarono di puls e non di pane dal momento che ancora oggi molti cibi si chiamano pulmentaria.

Ancora oggi per i riti tradizionali si fanno dolci di puls e sembra che la puls fosse ignota ai Greci quanto la polenta lo era all’Italia (evidentemente una pappa liquida di orzo).
La fortuna del farro è probabilmente dovuta alla stessa sua rusticità. Cresceva bene in ogni condizione di terreno, dai suoli pesanti dell’Appennino a quelli umidi dell’agro Pontino.

Panicum miliaceum
Oggi è classificato fra i cerali minori, nel gruppo affine al mais.
Ciclo vegetativo breve, tanto da consentire una semina primaverile.
Valore nutritivo superiore in carboidrati ma più povero in proteine.

Plin. N.h. XVIII 54 e 100: la Campania è particolarmente ricca di miglio, con il quale si fa una puls bianchissima e un pane molto dolce.

Columella, II, 9, 19. Con il miglio si fa un pane discreto, da mangiare prima che si raffreddi.
Il miglio torna nella tarda antichità e prende sempre più piede nell’Italia altomedievale e fino al XVII secolo, quando trionfa il mais.

Panico (setaria italica)
Ciclo vegetativo più lungo (cinque mesi) del miglio. Miglio e panico sono caduti
oggi in disuso ma avevano un ruolo importante nell’alimentazione antica: cfr. il caso dell’etnico Elymoi (coltivatori e mangiatori di panico), dato dalle fonti greche (èlymos è appunto il panico o miglio a grappolo) alle popolazioni sicane della Sicilia occidentale.
Resistente alla siccità, rapido ciclo vegetativo, adatto alle zone calde, fra i più antichi cereali coltivati, anche senza aratro.

Col. II, 9, 17: Gallia.
Polibio 2, 15, 2: Valle Padana.
Strabone 5.4.3: Sannio.

Il valore nutritivo è discreto ma inferiore a quello del grano e dell’orzo.
Connotazione negativa in letteratura (Aristofane) perché cotto e consumato rozzamente dagli Spartani.

Farina
Da far (Plin. N.h. XVIII, 8Cool. Prodotto della macinatura dei cereali
Alica: farina anche di miglio
Pollen: fior di farina di qualsiasi tipo di cereale
Flos: fior di farina della siligine
Siligo: farina di media grandezza fatta con la siligo
Similago: farina di media grandezza fatta con il triticum
Cibarium: farina impura alla quale era mescolata molta crusca

Puls
Farinata o polenta, antefatto della panificazione. Si fa con farina di farro ma anche con alica. In questo caso si ottiene la puls punica, già in qualche modo un piatto sofisticato (Catone, 85).

Ricetta elaborata e disgustosa di Apicio (V, 1): pultes iulianae.
Polenta: farinata o pappa semiliquida fatta con l’orzo (Plin. N.h. XVIII, 80)

Puls invece di pane indica un’epoca di sobrietà e di morigeratezza.
Valerio Massimo (2, 5, 5) celebra il tempo in cui a cibarsi di puls erano anche i maximi viri. Le pultes tornano nella tarda antichità.
Paolino di Nola (ep. 23, 6): gli asceti si cibavano di pultes fatte di cereali e di miglio.

Si consumavano molti vegetali: in primo luogo legumi (lenticchie, ceci, piselli e soprattutto
fave) e ortaggi (lattuga, cavoli, cipolle, porri, aglio). Mancavano però alcuni vegetali che per noi sono comunissimi: la patata, il pomodoro, la melanzana, il fagiolo.

Pulmentaria
Iscrizione di Isernia al Louvre: pane-vino-pulmentarium.
Sono piatti forti, pietanze consumate insieme al pane da chi è in viaggio.
Per Varrone e Plinio il Vecchio derivano da puls. Il termine risalirebbe al periodo in cui i cereali erano consumati in forma di zuppa e non di pane. A partire da Isidoro (VII secolo) si crede che pulmentarium derivi da pulpa, alludendo alla carne.
Si tratterebbe quindi di una forma di companatico o comunque di piatto contenente carne. Le proteine mancanti possono essere assunte attraverso legumi, formaggi, latticini, uova e
infine pesce e carne. In un pasto frugale, come dice Marziale, il formaggio sostituisce la carne. Ma se la triade pane-vino-radici richiama l’immagine della cena del povero, la triade pane-vino-carne rappresenta per le classi popolari un modello di consumo percepito come superiore.

Carni
Quella di Roma è una civiltà sacrificale
La carne non esaurisce da sola l’alimentazione propria del cittadino
La carne è al centro di ogni pasto di un giorno di festa
La carne si chiama caro, cioè parte, e il banchetto in cui viene consumata cena, o luogo
della divisione
I Romani non hanno mai adottato il symposion greco

CENA
Partecipano gli uomini, sempre sdraiati (le donne, se presenti, sono sedute), in luogo coperto: casa, portico o giardino on velarium.
Se la cena è importante diventa convivium.
Se è un banchetto rituale diventa epulum.

E’ un lusso che ci si concede e il tempo dell’otium alla fine della giornata, pace e divertimento. Uomini distesi, lavati, dimentichi degli affanni della mattina.

PRANDIUM
Pasto fatto per rifocillarsi, semplice, anche da soli, in qualsiasi luogo e a qualsiasi ora, frugale (da fruges).

Nutre. E’ il tempo del labor, ovvero dell’impegno in guerra, nella politica e nelle attività che richiedono comunque uno sforzo. Pasto mattutino o colazione verso mezzogiorno

Uova, latte latticini
Il latte era assai apprezzato, soprattutto quello di capra e di pecora. Nelle province settentrionali si usava molto anche il burro. I formaggi non mancavano mai sia sulla tavola dei ricchi che su quella dei poveri, per i quali spesso rappresentava uno degli alimenti di base.
Si mangiavano non solo le uova di gallina, ma anche quelle di anitra, di piccione e di altri volatili.
I volatili, tranne il tacchino, sconosciuto, rappresentavano gran parte della carne abitualmente consumata.

L’olio e le olive
Largamente consumato era anche l’olio d’oliva, che veniva utilizzato non solo per l’alimentazione ma anche come combustibile per illuminazione, per l’igiene, per la
medicina, per la cosmesi.

La frutta
La frutta più consumata comprendeva il fico, le mele, le mele cotogne, le pere, le prugne,
l’uva.
Si conoscevano anche le ciliegie, le pesche, le albicocche, il melone, il cedro.
La frutta cotta con il miele e le spezie faceva da contorno ai piatti di
carne.
Molto apprezzata era la frutta secca, ingrediente di molti dolci. Lo zucchero non si
conosceva, ed il dolcificante universale era il miele.
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